25/03/2013 - Disturbo Specifico di Linguaggio: classificazione

Ognuno di noi, nel proprio percorso di vita, avrà certamente incontrato un bambino con difficoltà di linguaggio, ma fino a che punto ci rendiamo conto dell’importanza di un linguaggio pulito, chiaro e in linea con le tappe di sviluppo e quanto invece giustifichiamo alcune immaturità linguistiche come frutto di un eloquio da “piccolino” e per alcuni aspetti, anche molto buffo e divertente?
Se chiedessimo al bimbo in questione, di raccontarci cosa vede nell’immagine qui sopra e lui ci rispondesse:
“ Un ba che doda toi dadi lida i dadi e i bo te doda to oso”
“Uno bambina dadi giocare dadi tirare uno bambino che orso gioca”
Oppure ci guardasse come stupito, senza rispondere e rivolgesse subito la sua attenzione verso altro.
Che cosa penseremmo realmente?
“E’ piccolino, svogliato ma presto parlerà e bene” oppure ci interrogheremmo sulla possibilità che possano esservi delle difficoltà a carico dei suoi sistemi linguistici, considereremmo quali implicazioni, queste difficoltà, possano avere nello sviluppo di competenze come la lettura e la scrittura e quali conseguenze ci siano per la sua sfera emotiva e sociale?

Il Disturbo di linguaggio (DL) rappresenta una tra le più frequenti difficoltà che si può riscontrare nello sviluppo dei bambini di età compresa tra i 2 e i 6 anni. Si stima che la diffusione di tale disturbo si aggiri intorno al 5% (Stark e Tallal, 1981).
Nell’ambito dei DL riconosciamo due macro categorie: i disturbi di linguaggio “secondari”, che si presentano in associazione a un disturbo di origine primaria (deficit neuromotori, cognitivi, sensoriali ecc.) e i Disturbi Specifici di Linguaggio (DSL) che non dipendono da altri deficit e si presentano con una compromissione specifica dell’abilità di linguaggio.

Vale a dire che i bambini, che presentano un DSL, possiedono:
udito nella norma;
non presentano evidenti problemi neurologici;
sono adeguati nei test di intelligenza non verbale;
presentano quoziente intellettivo nella norma;
non presentano difficoltà di tipo relazionale;
sono inseriti in un contesto socio-ambiente stimolante.
Nonostante i tratti che accomunano i bambini con DSL sono gli stessi in tutti i bambini, i profili linguistici e le espressioni di questo disturbo sono molteplici e variano di bambino in bambino.
Esistono diverse classificazioni del DSL, una delle più utilizzate viene formulata dall’ICD-10 e prevede la divisione in quattro sottoclassi. Nonostante ciò, questa classificazione, è un’eccessiva semplificazione nei confronti della pratica clinica, dove le espressioni del disturbo sono molteplici. Rapin e Allen (1988) attuano una divisione di derivazione neurolinguistica senz’altro più dettagliata e raggruppano il DSL in 6 sottocategorie. Utilizzando la loro tassonomia ci rimane facile descrivere più approfonditamente le espressioni del disturbo.
Il disordine che si osserva con maggior frequenza è la sindrome da Deficit fonologico-sintattico, in cui, il versante espressivo maggiormente coinvolto, è quello fonologico (organizzazione dei suoni nelle parole) e morfosintattico (organizzazione delle frasi complete di soggetto-verbo-oggetto-complementi); da questo differisce la sindrome da Deficit fonologico, da molti definito anche come Disordine Fonologico (Bortolini 1993) che vede coinvolto unicamente il canale fonologico. Riconosciamo poi la Sindrome lessicale-sintattica caratterizzata da problematiche ad accesso lessicale, quindi nella comprensione della frase dal punto di vista del significato delle frasi e del significato delle parole.
Le restanti tre categorie si riscontrano in condizioni più rare, Agnosie Verbali e Disprassia Verbale, o collegate a disorganizzazioni cognitivo affettive, come nella Sindrome semantica-pragmatica.

Adesso, se incontrassimo nuovamente il bambino di prima e lui ci dicesse in maniera convinta: “un ba che doda toi dadi lida i dadi e i bo te doda to oso”, potreste ridere al buffo modo di parlare del piccolo, MA potreste anche pensare che si tratta di una difficoltà nell’organizzare fonologica dei suoni e se ci dicesse: “Uno bambina dadi giocare dadi tirare uno bambino che orso gioca”, potreste pensare che è ancora piccolino, MA anche che siete davanti ad una difficoltà di tipo morfosintattico e ancora, se il bambino non vi rispondesse, potreste pensare che è svogliato, MA anche che non abbia compreso la sintattica e il lessico della vostra frase.

In-Formare i genitori e tutte le figure che si occupano della crescita dei nostri bambini, sulle tappe di sviluppo del linguaggio e sulle possibili difficoltà comunicative e di linguaggio che possono presentarsi, li rende in grado di poter essere i primi, a riconoscere eventuali campanelli d’allarme per potersi rivolgere, poi, alle figure competenti in materia.
Essere attenti, attivi e responsabili nello sviluppo del linguaggio dei nostri bambini ci permette di garantirgli un sereno e valido evolversi di competenze superiori come quelle metafonologiche e di letto-scrittura.

Dott.ssa Viola Proietti
Logopedista
Elicriso Psicologia e Riabilitazione

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